Quell'animale di Marx

Marx e gli animali
di Marco Maurizi

pubblicato su Liberazione del 02/12/2010

Marx aveva ragione. Ed era un "animale". La prima di queste due affermazioni ci viene confermata da una crisi economica senza precedenti, in cui perfino i più cinici sostenitori del liberismo sfrenato si cimentano oggi in improbabili esercizi di ripescaggio del pensiero marxiano. La seconda affermazione, invece, appare ed apparirà sempre più un urgente e necessario complemento della prima man mano che la crisi ecologica costringerà la società globale a ripensare il proprio rapporto con la natura.
Un tema vecchio, si dirà, che il movimento Verde ha già da tempo posto all'ordine del giorno. Ma non è così, perché ciò che potrebbe oggi far da volano alla critica dell'esistente ed aprirlo ad un radicale ripensamento dei rapporti di potere in tutte le sue forme è una consapevolezza che sta ancora compiendo i suoi primi passi: ci riferiamo alle implicazioni etiche e politiche del nostro rapporto con il non umano. Non è il caso di tornare sui raccapriccianti aspetti che il nostro dominio sugli altri animali produce nella forma della mercificazione, della devastazione morale in cui ci piombano le fabbriche della morte, la sperimentazione medica, i vari rituali arcaici e crudeli che si ripetono con sanguinosa regolarità in tutto il mondo, solo per ricordare qualche aspetto di un fenomeno che pervade a fondo la struttura della società e i comportamenti quotidiani che ne conseguono.
Altrettanto noto, per altro, è il fatto che Marx ed Engels non abbiano mai lesinato critiche al "sentimentalismo borghese", sia che assumesse le forme della "difesa degli animali" (Il Manifesto), che quelle del "vegetarismo" (Dialettica della natura). Più in generale, sebbene sia Marx che Engels abbiano sempre sottolineato, da un punto di vista materialistico, l'unità che sussiste tra uomo e natura, essi hanno proprio per questo considerato la natura nella sua funzione di "ricambio organico" con la società umana, cioè come semplice oggetto di manipolazione da parte dell'uomo in un rapporto che non prevede di per sé alcun limite morale, né può albergare alcuna forma di solidarietà tra umano e non umano.
E' legittimo però il sospetto che tutto ciò fosse solo il segno di tempi prematuri, tempi per i quali non mancò, all'intelligenza di Marx ed Engels, il senso raffinato di una premonizione di lungo periodo. Si pensi, ad esempio, ai passi marxiani in cui si sottolinea il fatto che questo rapporto con la natura non può che avere effetti sulla stessa coscienza umana: esso anzi ha a che fare profondamente con il modo in cui l'uomo pensa se stesso. Si pensi anche al formidabile passo engelsiano in cui si prevede che l'uomo un giorno sarà costretto a "sentirsi" e a "sapersi" in armonia con la natura proprio in conseguenza dei disastri prodotti dal nostro agire che ci fa illudere di essere una specie "esterna" ad essa e "superiore". Si pensi infine alla logica a cui Marx ed Engels fanno ricorso per dischiudere il segreto omicida del capitale, l'accumulazione originaria e la creazione di un'eccedenza di valore a partire dal lavoro sottoposto al giogo della produzione di merci. Non trova essa un precedente e un presupposto storico essenziale in quella accumulazione originaria di potere e in quell'eccedenza di valore che l'uomo ha prodotto all'alba della civiltà sottomettendo al suo volere i cicli biologici dei viventi non umani? Se la violenza sull'uomo è "levatrice della storia", forse è proprio perché la storia stessa è stata inaugurata da un atto di violenza contro l'animale.
Una violenza che non ha solo il colore del sangue e il suono dell'urlo di disperazione ma la forma persistente di un oblio, di quella sordità e di quell'insensibilità che ci rende estranea la sofferenza degli altri animali e che ci impedisce di compiere un atto di solidarietà nei loro confronti. Quando si riconosce nella violenza contro l'animale il fondamento dell'alienazione umana, l'empatia verso il non umano non è più "sentimentalismo" ma un atto politico radicale. In effetti, essere radicali, diceva Marx, significa cogliere le cose alla radice: e la radice, per l'uomo, non può che essere l'animale.

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