Il mio testo sulla Teriofobia ha suscitato critiche e osservazioni. Come sempre, alcune interessanti altre meno. L'aspetto meno edificante di alcune di queste critiche è il palese tentativo di difendere un'identità di gruppo (nel caso specifico il Veggie Pride "sponsor" del marchio "vegefobia") piuttosto che entrare nel merito delle questioni che ho posto. Il che implicherebbe leggere i miei testi e discutere della prospettiva filosofico-politica in essi implicita. Poiché si tratta di un processo indubbiamente lungo e noioso (nel giro degli ultimi anni ho scritto più di quanto avrei voluto) la mossa tattica che si è messo in campo è...far finta di averli già letti e criticati! Ci ha provato, ovviamente, chi ha portato in Italia tanto il Veggie Pride che la "vegefobia". Agnese
Pignataro, infatti, dopo aver gironzolato in giro per internet a lasciare
commenti sprezzanti su altri blog (senza ovviamente "degnarsi" di
scrivere su Asinus Novus) ha pubblicato l'ennesima nota
su di me nel suo blog personale. La tesi sarebbe che in un suo vecchio
scritto avrebbe già risposto alle questioni poste da me in "Teriofobia".
Tesi risibile oltre che falsa.
Risibile: perché quel suo vecchio scritto fingeva
che tutto ciò che avevo scritto negli anni precedenti (da "Marxismo e animalismo", alle "Nove tesi sull'antispecismo", alla "Genesi dell'ideologia specista", a Che cos'è l'antispecismo?, all' "Animale dialettico") non esistesse. E poiché quel suo testo si costituisce come un caso lampante di rimozione volontaria
dei miei scritti (anche se fa finta, come ora dirò, di criticarli pur
senza nominarli) ne consegue che (a) io sarei stato legittimato a fare
altrettanto - cioè ignorare i suoi scritti - in "Teriofobia" (anche se
non l'ho fatto come ora dirò) e (b) è del tutto evidente che quel suo
scritto non può in alcun modo confutare tesi che non vengono nè
esplicitate, nè criticate. La cosa divertente è che ora Agnese Pignataro
si lamenta del fatto che io avrei criticato la "vegefobia" senza
citarne i sacri testi. Da che pulpito! :)
Veniamo
quindi ora a sapere che pur non avendomi allora nè citato nè confutato
il suo articolo intendesse smentire le mie tesi. Da ciò purtroppo non
deriva che esso sia riuscito nel suo intento. Infatti l'affermazione di
Agnese Pignataro è anche
Falsa: quel vecchio articolo partiva dall'assunto secondo cui:
Una parte del movimento per l'abolizione dello sfruttamento degli animali non umani ritiene di non avere fini «politici» e di non praticare un'attività «politica». Un'altra rivendica invece un'impronta «politica» per il fatto di affermare una convergenza della liberazione dei non umani con la liberazione umana.Entrambe queste componenti, apparentemente opposte, si ricongiungono nella comune incapacità di pensare la questione animale come questione intrinsecamente politica, di vedere l'animale in sé come soggetto politico
L'articolo di Agnese Pignataro non fa altro che insistere su questo "chiodo fisso" dell'animale come in sè
politico, senza alcuna problematizzazione, nè rielaborazione coerente
dei termini "animale" e "politica". Gli "animali" rimangono gli animali non-umani
e nessuno sforzo è fatto per comprendere il rapporto dialettico tra
umano e non-umano. Della "politica", dopo un contorto paragrafo in cui
si contrappongono le non meglio identificate tesi di misteriosi
"materialisti dialettici" e "materialisti volgari", non viene data
alcuna definizione nè vecchia, nè nuova, salvo poi scoprire che il
compito del Veggie Pride è "l'inclusione degli animali non umani nella
nostra società, nella nostra cerchia politica". Una conclusione ormai ampiamente superata da tutti gli approcci critici ai concetti di "cittadinanza"
e di "inclusione" elaborati in ambito antispecista a partire dalla
fenomenologia (Acampora), dalla biopolitica (Agamben) e dal
decostruzionismo (Derrida).
Senza
dimenticare la teoria critica della Scuola di Francoforte che all'epoca
cercavo di introdurre nel dibattito antispecista per smuoverne alcune
rigidità teoriche. Anche su questo versante il testo di Agnese Pignataro
rimane però abbondantemente al di qua di una vigilanza teorica sui
concetti che pretende criticare. Pur avendo
infatti da anni letto le imprecisioni di Agnese Pignataro sulla "teoria
del dominio" (qui evocata, ad es., in nota 3) che viene considerata una
mera di "ideologia" e non un'analisi dialettica dei rapporti
psicologici, sociali, economici e politici che strutturano la storia
della civiltà occidentale, non sono mai intervenuto in difesa di tale
impostazione filosofica, tanto mi sembrava vacua la critica di cui era
fatta oggetto. Devo farlo qui visto che il mio silenzio viene
evidentemente interpretato come un tacito assenso che Agnese Pignataro
sia in qualche modo riuscita a criticare la categoria di dominio. Non
solo non l'ha mai fatto, ma non mi pare l'abbia nemmeno capita. Potrebbe
aiutare, invece di ricorrere ad Anarchopedia et similia, leggere Adorno e Marcuse (o almeno il parere di qualcuno che li abbia letti davvero).
Il
fatto poi che l'idea fissa dell'animale in sè politico costituisca solo
l'estremo tentativo ingiustificato e fallace di salvare dalle critiche
politiche il classico atteggiamento moralistico e individualistico dei
veg*ani, incapaci di compiere un'analisi articolata in sede storica e
sociale delle società di classe, è cosa che ho trattato ampiamente
altrove e su cui non è quindi il caso di spendere altre parole. Chi
fosse interessato può trovare qui (nonché nel mio articolo sul n. 4
di "Librazioni") le motivazioni per cui il ricorso agli argomenti
diretti e la fissazione sul veg*ismo invece che sull'antispecismo
costituiscano la negazione di un'impostazione autenticamente politica
del problema, nonché il maggiore ostacolo ad una sua possibile
soluzione.
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